Precarietà a mille euro. Ne parla il ricercatore Antonio Scala

Antonio Scala per COPERTINA FB (4)

La crisi del mercato del lavoro, un tema spesso dibattuto politicamente, ma mai affrontato dalla parte del cittadino-lavoratore, di colui che maggiormente ne subisce le conseguenze. Ne parliamo con Antonio Scala, attore de “Gli Scusateci”, i cui video sul loro canale YouTube stanno spopolando ovunque, e in un episodio, il secondo della Trilogia web, giovane studente trasferitosi in Francia che, tra una scarsa conoscenza della lingua e la nostalgia per un biscotto, alla fine è felice di essersi trasferito all’estero.


Antonio, qual è la Sua formazione scolastica ed ora di cosa si occupa, professionalmente?

“La risposta a questa domanda è semplice: in pratica rispondo all’inizio dell’episodio. Mi sono laureato in Fisica a Napoli ed attualmente sono un dottorando di ricerca presso l’Università di Napoli e mi occupo di sismologia. Il progetto in cui sono impegnato è basato su una collaborazione tra Italia e Francia e quindi passo molti mesi all’anno a Parigi (nei 14 metri quadri che si vedono nell’episodio) e da qui è nata l’idea dell’episodio. Diciamo che sono un mezzo cervello in fuga (nel senso del tempo che passo all’estero)”.

Lei è felice della vita che conduce in Italia o, come il personaggio che rappresenta, andrebbe all’estero per lavorare?

“Partiamo dal presupposto che al netto della totale precarietà di chi intraprende il percorso accademico, il mio lavoro mi piace. Mi piace sia quando sono a Napoli, sia quando sono in Francia. Tuttavia, vivere da solo (anche se per brevi periodi) non è facile, e fin quando non ci si ambienta si finisce per lavorare soltanto e questo non fa molto bene! In futuro se l’Italia non dovesse garantirmi un lavoro gratificante, sono anche pronto a partire”.

Nel video si toccano vari temi, primo fra tutti la voglia di un Paese diverso. Perché l’Italia è diversa dagli altri Paesi Europei?

“Non so se posso parlare in generale, sicuramente posso parlare del mio campo e della Francia di cui ho esperienza diretta. La principale differenza dal punto di vista lavorativo sono le garanzie del lavoro. Faccio un esempio pratico: per le mie colleghe dottorande non esiste la maternità in Italia, solo un interruzione del contratto e nessuna retribuzione durante i mesi in cui stanno a casa. In Francia anche i dottorandi sono come gli altri lavoratori e quindi la Previdenza copre maternità ed anche paternità (l’esempio non è casuale dato che diventerò padre tra poco e anche mia moglie si trova nella stessa situazione). Potrei inoltre parlare per ore di agevolazioni sull’affitto, sussidi di disoccupazione per immigrati e altre garanzie francesi, ma che differenza fa: “tanto nuje ccà tenimme ‘o sole””.


Se potesse modificare la condizione degli studenti in Italia, cosa consiglierebbe ai politici italiani?

“Non credo che basterebbe questa intervista. Consiglierei ai politici di cambiare mestiere! A parte questo, la sensazione che ho – ma forse sono troppo di parte – è che l’Italia sia un Paese in cui la cultura umanistica è troppo più importante di quella scientifica. Se da una parte questo è giusto (siamo in fondo la patria di alcuni tra i più grandi letterati della storia), dall’altro svilisce la formazione scientifica, specialmente a livello di scuola superiore. Un esempio pratico e banale: tutti hanno almeno un’idea di chi siano Manzoni e Leopardi, ma quanti sanno chi era e cosa ha fatto Enrico Fermi? Che poi tutto lo sforzo fatto dalle scuole a favore delle materie letterarie è vanificato da buona parte delle TV, dove pare che il congiuntivo sia stato bandito… “.

Nel video è rappresentato un dilemma della scuola italiana: l’insegnamento delle lingue straniere. Cosa ne pensa?

“Tutto il male possibile. Ovviamente scherzo, devo dire che sono stato un fortunato, ho avuto delle ottime insegnanti di inglese e questo mi ha aiutato molto quando sono stato costretto a doverlo parlare per lavoro. Purtroppo ho ancora molte difficoltà con il francese e la mia vita parigina è molto divertente. Disquisisco dottamente al lavoro di complicati problemi di sorgente sismica in inglese, ma poi ho difficoltà a comprare il pane per colpa del francese”.

La crisi vista in maniera diversa, andando via. Cosa ne pensa della fuga dei cervelli?

“Magari andrò controcorrente ma io dico che la fuga dei cervelli, almeno per le scienze, è necessaria. In questo mondo non si può crescere se non si entra in contatto con realtà accademiche – e quindi con pensieri – differenti. È chiaro che quando questa fuga è un obbligo, e non una scelta autonoma per maturare, fa molta rabbia perché è indice che il proprio Paese non è capace di dare un futuro a coloro che prepara. Tuttavia posso assicurarvi che all’estero in ambito scientifico gli italiani vengono tenuti in grandissima considerazione, indice che qualcosa nelle nostre Università funziona, e a dispetto di alcuni luoghi comuni questo ti fa sentire gratificato”.

Un altro tema toccato è quello della nostalgia dei sapori enogastronomici nostrani, con l’esempio di un prodotto dolciari di cui non nominiamo la ditta. Con ironia, cosa crede manchi all’Italia per aumentare questa nostalgia nei turisti italiani?

“In realtà con quel pezzo vogliamo ridere un po’ dei ragazzi italiani che lasciano casa per sentirsi grandi e poi trasformano le proprie case in succursali della casa materna, come me. Anche in questo caso voglio andare contro i luoghi comuni. La prima volta sono partito terrorizzato dal cibo francese, ma poi ho imparato ad apprezzarlo. Certo la pasta me la cucino io, Dio benedica i “muzzarellari” a Capodichino!”.

Che ricordo maggiore ha dei Suoi viaggi all’estero?

“Le nottate in aeroporto. Quando torno per un week-end mi piace prendere il volo all’alba in modo da guadagnare un giorno ma questo mi costringe a passare la notte in aeroporto, così poi il giorno lo perdo a dormire o a vagare come uno zombie, ma vuoi mettere il letto e il cibo di casa mia…! Scherzi a parte, adoro viaggiare, ma da quando lo faccio così spesso e per lavoro una sensazione che mi accompagna sempre è la nostalgia ogni volta che penso di dover fare i bagagli”.

Quali altri temi vuole trasmettere il secondo episodio della “Trilogia web”?

“Io direi principalmente, e parlo per esperienza personale, che, aldilà della necessità a volte di lasciare la propria casa e la propria terra, partire e vivere fuori, lontani da amici e famiglia è davvero dura e senza la giusta motivazione si può anche crollare. Il segreto per me è sentire vicine le persone che sono fisicamente lontane, e per questo devo sicuramente ringraziare la mia famiglia e specialmente mia moglie”.

Infine, per concludere, perché Lei come “Gli Scusateci” ritiene importante occuparsi di crisi del mercato del lavoro?

“A noi piace recitare, ridere e provare a far ridere. Parlare della crisi sotto questa lente è un modo sia per sdrammatizzare, ma soprattutto per lanciare in modo leggero messaggi importanti. Alla fine quasi tutti i componenti de “Gli Scusateci” appartengono alla generazione “precari a 1000 euro”, quindi dietro l’ironia e la leggerezza c’è comunque l’esperienza diretta, e questo rende secondo me questa trilogia e i temi affrontati davvero vicini ai problemi reali dei nostri coetanei”.

Precari ma con mille euro di reddito. Cosa dovrebbero dire tutti gli Italiani che, con cinquecento euro al mese, “tirano a campa'”, come si dice a Napoli, sostenendo interi nuclei familiari?

Lidia Ianuario
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